
I CAPOLAVORI DI NESSUNO
(Per la mostra dei Capolavori di Nessuno)
Nessuno mi ha colpito! Grida Polifemo accecato da Ulisse. Così si salva l’eroe nel suo viaggio mitologico di ritorno a casa. In questa metafora è la chiave di lettura della possibilità concessa all’essere umano nel viaggio perenne del ritorno alla dimensione del proprio esistere.
Perché nessuno, è ognuno di noi.
La specificità del nome è la necessità egocentrica che alimenta il disvalore delle diversità e che si trasforma tanto in vanità di immagine nel fenomeno della ricerca estrema di riconoscibilità quanto in superbia che alimenta poi la sopraffazione, il sopruso e quindi l’identificazione con il potere.
Il contraltare è l’identificazione della unità tra diversi intesa come numero scritto sul braccio del deportato al pari del codice fiscale della massificazione burocratica.
Perché nessuno, è ognuno di noi.
Il nome è un’illusione temporale, uno specchio personale che ci viene imposto da sistemi sociali costruiti dalle vanità e dalle superbie di quegli umani che hanno trovato nelle masse terreno fertile di produzione di contesti capaci di condizionare un viaggio che appare individuale in quanto sembra avere inizio e fine e che chiamiamo erroneamente vita facendo sì che nome e vita si identifichino e divengano un tutt’uno, compresso, limitato ad un tempo irrimediabilmente finito.
Dio è morto è stato lo slogan spartiacque inventato dal primo influencer dell’epoca moderna per permettere ad ognuno di credersi Dio e di avere una visione talmente egocentrica del mondo da essere totalmente disattento agli altri. È nata così quella condizione di solitudine che ora permette di ascoltare solo se stessi non dando alcun valore a ciò che altri dicono. È questo il principio dell’intolleranza, una solitudine che l’umanità tenta di risolvere nel numero anch’esso identificativo di un cellulare che permette di credere di avere il mondo a portata di mano in un piccolo oggetto bidimensionale, di fatto privo di profondità, sempre più essenziale ma solo più superficiale.
A questo gioco delle parti sempre più ad alta definizione, in questa trappola “vitale” nella quale nella quotidianità ognuno cerca una dimensione pur di essere “qualcuno” è caduta anche l’Arte, in tutte le sue forme di rappresentazione, dal cinema come immagine, alla musica come ascolto, a quella della materia come nella pittura. L’Arte ha man mano perso la sua dinamica di corrispondenza con ciò che si fa, dove le componenti sono elementi delle emozioni e dei sentimenti, per ridursi solo al nome di chi fa, dove indipendentemente dai contenuti è appunto solo “un nome” quel che conta.
Ecco allora perché nasce questa esigenza, dovuta a quell’innocenza primaria che tende a salvare la vita e quindi a salvare opere di sensazioni e di espressioni che rappresentano il vivere magari anche come aspirazione ma che hanno tutte, come caratteristica che le associa, la volontà umana di superare la barriera del tempo che chiamiamo vita.
Così scopriamo che Dio più vivo che mai è forse incredulo del fatto che l’umanità tende alla estinzione non tanto di se stessa, bensì di quei valori raggiunti con le unghie sulla roccia quali la libertà, la coscienza, il prossimo, la ricerca della verità. Valori autentici che l’Arte è sola nella volontà di esprimere.
Allora guardare un quadro, leggere una frase, ascoltare una musica con l’intento di ritrovarci quei “valori” determinanti che conducono alla lealtà, alla reciprocità, all’essenza stessa della contemporaneità attraverso la luce primaria dell’innocenza è appena il primo passo che dobbiamo compiere nel rispetto della conoscenza, strumento miracoloso che, in questo mondo che come Romolo e Remo si arma ciclicamente per delimitare un misero spazio terreno, deve essere capace di permetterci di tracciare il solo ed unico confine comune necessario all’umanità: il confine tra il bene ed il male.
…ogni disperso è storia senza senso
solo un numero in meno nell’umanità…
Patrizio Ranieri Ciu, ovvero nessuno
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