
L’INNOCENZA DEL SILENZIO
(introduzione alle “fluttuazioni silenziose” di Salvatore Di Caprio)
La perfezione si raggiunge grazie alla maggior informazione che si tramuta in maggior professionalità. Ed è questa la tendenza, direi molto americana, alla specializzazione, aspetto che è divenuto il principio primario della formazione e quindi della scuola. Una tendenza a creare competenze sempre più sofisticate e funzionali grazie alla preparazione qualificante in ogni specifico settore. Così un singolo soggetto inteso come portatore di conoscenza, capacità, esperienza, vissuto, ognuno singolarmente è superato dalla “banca dati immensa” che raccoglie lo scibile “di tutti” e che ci riconduce, nel confronto con il singolo, al fatto che la AI è sempre tutto ciò che è più di uno perché già nel confronto diretto essa assorbe ogni singola esperienza che le si contrappone nella domanda del suo stesso utilizzo. Ci rendiamo cioè conto che così proprio questa condizione è la causa della sempre maggiore inutilità dell’individuo in quanto, nel produrla e nel confrontarsi, è di fatto già inglobato nella AI.
L’AI si sostituisce alla intelligenza del singolo, quest’ultima destinata a divenire sempre più, per contrapposizione, deficienza naturale.
Quindi maggiore sarà il flusso di informazioni e più avremo naturalmente una sempre minore combinazione dell’errore con la conseguenza dell’inutilità del perfezionismo umano quando sarà superato dalla perfezione delle macchine.
Quindi partita persa.
Nell’accezione tradizionale certo sì, la macchina supera l’uomo in ogni settore, in ogni campo e questo, per quanto possa sembrare disumano, non dovrebbe spaventarci anzi, perché certifica la grande opportunità di recuperare quel terreno di autenticità perduto proprio a causa di questa corsa sfrenata alla perfezione. Sto parlando proprio del recupero della funzione dell’arte come affermazione della sublimazione dell’essere umano perché ogni principio artistico è frutto di un unico elemento che non sarà mai riproducibile da nessuna intelligenza artificiale. Mi riferisco all’intuizione, quel fenomeno di sensibilità psicofisica ed intellettuale che, libero da ogni condizionamento e soprattutto da ogni modello predeterminato, diventa miccia del fare nello specifico artistico.
Ed ecco che arriviamo al nostro artista, Salvatore di Caprio, che è testimonianza primaria di quanto nell’arte la cifra che contraddistingue un vero artista sia proprio questa: la componente umana ed intellettuale della purezza legata all’intento, che crea una identità così indubbia da definire ogni scelta realmente artistica. Così si scopre l’arte di Salvatore Di Caprio nella sua direzione più autentica là dove garantisce sostanza e valore assoluto ad ogni sua opera.
È questo che ne motiva l’azione artistica, quella capacità intuitiva che assicura quanto il suo trasporto passionale nelle realizzazioni prescinde da un sistema o da un modello ma si determina in quella che definirei la “sorgente naturale” di ogni vero artista che sia degno di tale appellativo.
La sua non è una operazione di scolastica, è un viaggio nell’inconscio, un cammino al rovescio che tende “ad escludere ciò che è” per “rilevare ciò che è possibile vedere” offrendo alla emotività di chi guarda la creazione di un anello di congiunzione con la sua intuizione, cioè quella origine primaria che è frutto della sua sensibilità.
Ora noi sappiamo che l’innocenza, dono divino di tutti gli esseri della terra, è la prima che quotidianamente noi permettiamo di farci contaminare. Quella natura che sembra un limite, che attraversando la nostra infanzia, noi stessi incontriamo quasi scontatamente nel confronto con le condizioni che la società pone nel creare contesti di operatività, si perde nel tempo lasciando un alone di rimpianto di liberi tempi andati.
Ebbene il nostro artista invece resta fedele a quella sua innocenza primordiale nella ricerca di una espressione artistica del tutto originale che nelle sue opere attraversa, dalla scultura al dipinto, fasi di densità sempre più liquida come espressione colta in difesa dell’innocenza che teme di veder contaminarsi.
Tutto questo diviene evidente nelle sue “fluttuazioni silenziose”, esplosioni di colore che maturano in campo nero.
Sarei portato a descriverne la tecnica, i materiali, le loro densità ma cadrei in una contraddizione con quanto precedentemente affermato: non c’è scolastica, non c’è modello. C’è nelle sue opere fondamentalmente sorpresa, la più diretta, la più naturale parimenti percepita da chi le osserva anche da chi le ha create.
La sua è coscienza di una sorpresa frutto di quella volontà di muovere gli smalti e quindi di dar luce e colore con gesti autentici delle mani guidate dagli occhi nel rispetto assoluto dell’intento. È l’azione umana del pensiero nell’opera nel quale si traduce.
La composizione divina tra pensiero ed azione solo nell’arte si compone come perfetta descrizione della dimensione uomo. Ecco l’assoluta innocenza di questa dimensione che appare nella sua nitidezza nelle composizioni di Salvatore di Caprio. La dimensione uomo è quella salvifica e lo pone come brillante esempio di arte naturale, la sola vera arte che resta in un mondo che abbiamo racchiuso all’interno di una macchinetta audiovisiva che sembra multiforme ed illimitata ma di fatto è solo un inutile mondo virtuale che non esiste se non come corpo estraneo di vuoto che assume sembianze esistenziali.
Diversamente le fluttuazioni silenziose sono purezza del silenzio del pensiero.
Il fondo è nero. Quel nero del silenzio che permette all’immagine di appropriarsi dei colori ed esprimersi nella sua identità è un respiro che permette il viaggio nel suo significato di opera d’arte.
È il silenzio il vero protagonista, l’elemento sempre presente delle opere di Salvatore Di Caprio.
Silenzio che corrisponde al pensiero prima di essere tagliato, ridotto, masticato e trasformato in parola intesa come suono, confine appunto tra il pensiero e la sua espressione e che, finché è protetto dal silenzio, resta infinito. Infinito al punto tale che, come ho scritto nel “Solitario” © che Yoko Ono ha accettato come ramo dell’albero di Nutopia nel sogno di mondo ideato da John Lennon: il nostro pensiero è talmente immenso che è più grande dell’intero universo.
Guardare le opere di Salvatore di Caprio è vedere il pensiero allo stato originale, non contaminato dalle parole riduttive, descrittive che, spiegando, lo limitano. Questo resta alla emozione di noi osservatori non occasionali posti davanti ad esse e, se ne saremo capaci estraniandoci davanti ad una sua opera, in un rigurgito di innocenza, potremo vedere, oltre al silenzio palese dell’autore, ognuno il silenzio del proprio pensiero.
La caratura del suo lavoro conferma oggi un silenzio protagonista di quanto al primo incontro scrissi di lui: “Il suo silenzio è d’oro. Antico detto ed immagine di autenticità, marchio d’artista, espressione sensibile, come quadrifoglio nascosto tra fili d’erba. Il silenzio, che con la sua discrezione si appropria delle sculture e le rende mobili, fragili, espressive, come se un vento le piegasse in un inchino rivolto al pensiero in esse contenuto, quel silenzio che illumina i dipinti regalando loro quell’essere sempre in movimento, resi quasi caldi respiri profondi e sospesi mentre una intima sensazione si fa largo nell’osservatore dell’opera e lo prende per mano conducendolo verso un viaggio introspettivo, delicato, sottile e soffice come il suono di un oboe che si fa strada tra i violini di una melodica partitura. E il viaggio prende il via e ci cattura”.
È silenzio dunque, costante, vissuto come emozione. Emozione che si concede all’immagine e si lascia condurre nel figurativo della rappresentazione. Salvatore Di Caprio non offre ma significa, non scambia ma espone sé stesso. Non è sfogo, non è costruzione la sua ma esperienza ed espressione naturale, senza riserve mentali, lavoro delle mani e quindi lavoro dell’uomo che opera, modella, disegna e dipinge: cioè crea. E traduce la propria sensibilità in forma e significato, in progetto di vita, in direzione verso il mistero della propria origine, quel mistero che in alcuni, miracolosamente, trasforma un pensiero in arte autentica. Autenticità intatta che a sua conferma certifico riproponendo la conclusione immutabile alla quale giunsi un tempo remoto: “le opere di Salvatore di Caprio hanno forza solenne ma espressa con garbo e grazia, quel garbo e quella grazia che certificano la morbidezza del suo gesto creativo, la dimensione spontanea della sua pittura, la dinamica sostanziale della sua scultura e, nell’insieme, la dignità del suo essere artista vero, non codificato, appassionato esploratore di quel viaggio che resta la domanda più sublime che l’essere umano ha da porsi e la cui risposta, per fortuna degli umani, continuerà nel tempo a correre nel vento”.
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