
GIOVENTU’ CONTRO LA SPERANZA DELL’ILLUSIONE
(illudere i giovani è il mestiere dei lestofanti)
La “categoria” è una definizione normalmente “terminale”: si diventa magistrati, giornalisti, religiosi, sindacalisti, persino politici e addirittura vecchi. Insomma la categoria, qualunque essa sia, professionale e non, nel bene e nel male è un punto di arrivo. Tutte tranne una. I giovani.
I giovani, per il mondo adulto, sono un punto di partenza.
Intanto, in quanto tale, è considerata come mercato. Lo scoprirono i discografici negli anni ‘60 e da allora, via via fino agli attuali gestori telefonici, è stata sempre più una categoria da sfruttare.
Loro, i giovani, poco se ne rendono conto, hanno comunque margini per consumare in un sistema che continua a chiudere loro spazi con la scusa di aprirli.
La scuola, che omologa attraverso comuni logiche di finta innovazione, è la prima grande imputata di questo processo irreversibile di assuefazione.
Poi la famiglia, ormai priva di connotazione e quindi di esperienza di riferimento, che è sempre più spaccato e coacervo di confusione, di sudditanza o di banale provocazione.
Quindi le istituzioni, con la pertinenza costante del consenso a tutti i costi, collusioni mafiose e camorristiche incluse, spesso volgari rappresentazioni di connivenze, di sporche convenienze e di privilegi, a livelli di substrati, dal piccolo paesino ai più alti rappresentanti degli Stati.
In tutto ciò solo sporadiche donne e sporadici uomini, fondamentalmente soli, che si muovono tra le maglie di un sistema con un respiro autonomo, dando solo segnali di piccole nuove possibilità, voci occasionali ovunque, per strada, in tv, in parlamento o, nella circostanza, come quelle del Presidente Mattarella con i suoi moniti. Spesso dimentichiamo che era un giovane che ha tenuto tra le braccia il fratello ucciso a pistolettate da terroristi travestiti da mafiosi. Ma già la scelta “umile” del suo dire ne stronca ogni minima facoltà di incidere sul terreno della verità.
Questo il quadro: triste ed avvilente per una gioventù che non aspira ormai a niente.
Arrivano solo parole.
Non ci sono spazi reali. Nessuna facoltà di agire. Nessuna originalità, nessuna occasione di dare spazio alla immaginazione ormai ingabbiata dal flusso attuale della più becera forma di comunicazione: il mondo dei social ed il modo di fare televisione. Una volta esisteva il contatto diretto, fisico, visivo. Partecipare l’uomo non era un diversivo ma una realtà. Oggi esiste solo l’opportunità della platea di massa o il comizio televisivo. È riservato a pochi, in un sistema orrido di casta. Posti fissi di guida nella comunicazione, pochi e privilegiati, che gestiscono i privilegi di ogni opportunità di rivolgersi alla massa.
Nemmeno un luogo di aggregazione contemporanea è offerto alla gioventù dove smarrirsi nella poesia, nella follia di una rappresentazione che non abbia i canoni assurdi della ripetizione del classico dei classici, che non abbia soliti nomi evidenziati nello sport, nel cinema ed ancor più nel teatro senza parlare dell’odor di muffa di musiche bacate, musicisti a gettone e canzonette Rap preconfezionate. E per quei ragazzi non ancora privi di volontà dell’essere non esiste uno spazio riconosciuto, integrato se non un palazzetto il cui accesso è sempre e comunque regolato dal costo di un biglietto.
I giovani e l’illusione: anche i loro sogni sono solo quelli “non proibiti”, solo leciti miraggi di mete colme di indicazioni in modo che la mente non possa fuoriuscire dai binari di un viaggio che una volta si chiamava “vita” ed oggi, come polli in batteria, è soltanto standardizzazione. E la conformità è il principale interesse del mondo della droga e tutti i suoi affini.
E dove sono gli intellettuali? Quelli reali, che di notte cercavano la luna come lupi mannari? Quelli che cercavano la fortuna nell’espressione di qualcosa che non è e che, proprio perché tale, si inventava, di sana pianta, dando a tutti la capacità di nuova ipotesi di meta, quasi miraggio che si concretizza perché tu non stai lì solo a guardare ma provi a costruire, a scindere il bene dal male, come sana follia era quella di un tempo: navigare.
Quelli di ieri sono la generazione perduta. In quelli di oggi, sui piccoli schermi l’immagine patetica di chi si dichiara intellettuale mostra scarpe griffate, occhiali colorati e giochi. Giochi di parole, solo parole su misura nello spazio temporale perfettamente calcolato tra uno spot ed una informazione, quella unilaterale, priva di emozione. Retori “a tempo” di un tempo che ormai muore.
Dove può guardare allora questa unica categoria, i giovani, che pare abbia ad unico scopo il riversarsi come pasta scotta nello scolapasta della globalizzazione finale?
La speranza, entità perfetta per chi vuole morire senza vivere, è l’isola magica che infetta i pochi tra i giovani che ancora sentono il bisogno di poter agire.
Allora, come dice il regista: azione!
Non più dentro la logica dell’appartenenza ma azione che sappia coniugare soltanto principi sani. Quelli che non hanno tempo, come la dignità, che ti permette di essere anche povero ma senza dimostrarlo, il rispetto, che ti fa sentire bene grazie all’altro ed una moralità nuova che si basa sulla verità. Valori condensati nelle sole due parole che il mondo sembra aver dimenticato: una è l’etica, l’altra è l’onestà.
Qual è la morale? Che la gioventù è un punto di arrivo, raggiungimento di questi e non di altri valori.
Tutto il resto, ragazzi miei, va cancellato, sia con la mano destra che con la sinistra, la mano del cuore.
P.S. Questa non è una lettera. È un invito a pensarci su e dire la tua su quanto sta scritto o su altro. Farlo, anche con una sola parola, significa esserci, avere una volontà che partecipa nello spazio che è di tutti.
Non farlo significherà che sei già altrove, nello spazio di nessuno, nemmeno tuo.
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