N.57 Diamoci una calmata, tutti
DIAMOCI UNA CALMATA, TUTTI
La volontà di atroci sfoghi, la rabbia, è una delle azioni più corrispondenti alle verità in cui crediamo. Nelle relazioni, con noi stessi e con gli altri, noi ci commisuriamo, cioè ci conteniamo tentando equilibri che possano permetterci, in virtù di una sopravvivenza alle stesse, di accettare cose a noi contrarie. Così di fatto continuamente ci autolimitiamo dal dire o dal fare in una forma di convenienza indotta che ci impedisce di dire e fare autenticamente verità in cui, pur se egoisticamente, crediamo.
Autenticità che esplode solo nei momenti di rabbia quando, bypassando ogni timore di conseguenze, esponiamo realmente noi stessi nella nostra assoluta volontà diretta, quella cioè che mette a latere le volontà altrui e finalmente, pur se a rischio, permette alla nostra di volontà di liberarsi con gesti e parole esasperate ed esasperanti. Qualche volta ce ne pentiamo ma solo, in fondo, per tutelare la relazione con gli altri – basti pensare alla mitomania dove giustifichiamo tutto ai nostri miti – e per far accettare la nostra presenza al mondo.
Così, nei momenti duri di rabbia, viene fuori la verità del pensare, quella repressa, soprattutto nei confronti degli altri ai quali non perdoniamo più nulla. È un comportamento lecito che mostra però il lato abominevole della nostra singolarità: il desiderio di sopprimere chi e ciò che identifichiamo come causa di ogni nostro malessere. Ebbene questo avviene per la mancanza di coraggio di trovarla, la causa, in noi stessi. Così, oltre alla nostra insoddisfazione sempre più latente, non ci rendiamo nemmeno conto che ne creiamo un’altra in chi comunque, nell’amarci non come vorremmo ma come a loro riesce, poi ci trasforma, proprio per quel modo magari per noi sbagliato di amarci, e ci vede arbitri del loro destino.
Qui scatta il paradosso: o tu o io.
Questa la matrice sana che, per non sfociare in pensieri o azioni malsane, è evitabile solo con la rinuncia alla affermazione “duale” e quindi tipologicamente collettiva, in funzione di una dedizione o accettazione accondiscendente dell’uno da parte dell’altro con dubbi risultati di equilibri instabili.
In certe condizioni emerge una spinta alla distruzione altrui da parte di ogni singolo, dall’assassinio diretto a quello di massa, fino a quella del sé stesso. Ciò spiega i nostri comportamenti: dall’omicidio più efferato alla guerra tra Stati. Di fatto sono tutte forme suicidarie degli stessi carnefici in nome di una verità, non presunta, ma propria: la loro.
Una parola allora va spesa per le vittime innocenti. Lo sono realmente solo perché hanno un’altra verità, anch’esse la propria. Magari verità certo più logiche ma, approfondendole, a volte solo apparentemente tali qualora riusciamo, con uno sforzo di oggettività, a motivare le circostanze degli accadimenti: il confronto delle volontà, cioè un limite insuperato che annienta ogni reciproca dignità.
Perché è questo il risultato di ogni tipo di esasperazione.
Non ci rendiamo conto ad esempio quale drammatica istigazione è l’incomprensione di cose magari mai dette ma che esplodono all’improvviso nella pretesa che ci sia l’obbligo di comprensione da parte di chi ci affianca solo perchè NOI abbiamo fatto il “sacrificio” di averlo o averla affiancata anche per un momento o per la vita intera non considerando che ciò vale, parimenti anche per l’altra parte.
Giustificazione di una giustificazione che alla fine non è altro che la strumentalizzazione di una unica verità: siamo vittime di un sistema che non perdona ma, pur essendo antico più del tempo, nel quale ci basterebbe portare ad off l’interruttore dell’ego esistenziale per spegnerne la luce artificiale e vivere di luce autonoma.
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