N.51 Il Diritto di un Uomo

IL DIRITTO DI UN UOMO

Ritenete che eutanasia e suicidio siano diritti di ogni uomo? 
[1/2, 2:23 PM] Ottavia: Si. Ma mi spaventa un po’ che questa libertà possa diventare una trappola..
[1/2, 2:39 PM] Dafne: L’eutanasia è la diretta conseguenza di una società iper tecnologizzata che non lascia morire ciò che è morto e invece di differenziare e consapevolmente valutare il prima si finisce sempre per andare lontano dall’origine e quindi per alterare. Il suicidio è altro e non è un diritto, è scelta o una condizione umana, è come l’omicidio, di fatto, con le stesse attenuanti.
[1/2, 2:56 PM] Luigi: L’eutanasia è un diritto dell’uomo vegetale o di chi gli sta attorno? Di fatto è un decidere sulla vita altrui. Rosario, il ragazzo tetraplegico con cui lavoravo, ci pensava spesso in quanto con le sue stesse mani non poteva uccidersi ed era vittima della volontà dei genitori che lo volevano in vita. Beh io gli proposi, invano, di fare una radio insieme, dato che le uniche parti del corpo che poteva gestire erano la mente e la lingua, ma lui amava troppo la vita, quella degli altri, e si rinchiudeva nel suicidio come unica soluzione, perché la sua non la considerava dignitosa. Diritto al suicidio, beh riflettiamo…chi pensa a levarsi la vita è già morto da un bel pezzo e vede tutto scuro se non affiancato da portatori di luce.
[1/2, 3:54 PM] Valentina
: In una società evoluta culturalmente e antropologicamente l’eutanasia sarebbe un diritto di ogni uomo, forse. Ma io penso che poiché coinvolge almeno due individui probabilmente possa avverarsi solo passando attraverso una garanzia personale, una conoscenza reciproca, una chiarezza di intenti condivisa. Non so come spiegarlo. Nella condizione in cui si è attualmente a me non sembra possa essere considerato un diritto collettivo sacrosanto perché sono abbastanza sicura che il risultato sarebbe un disastro. Eppure credo sia diritto di chi vive da essere umano e che da un essere umano sa di poter essere davvero compreso e garantito. Sul suicidio non so bene come esprimermi. Quello lo fai di certo da solo. Ma a maggior ragione non puoi credere che il tuo gesto non abbia conseguenze per altri anche se credi di escluderli escludendoti. Non è un diritto. È solo una condizione, un gesto, una esigenza, ma mi sembrano cose così individuali ed intime che è complesso ragionare per “collettività”.
[1/2, 3:57 PM] Giuseppe: “Non esiste un’unica strada per raggiungere una meta ma mete infinite per percorrere tante strade” (Ciu).
[1/2, 4:07 PM] Ivan
: Per me sì, solo nella misura in cui sia una scelta libera, cosciente e consapevole. Come Stato a tutti quelli che dimostrano tale consapevolezza imporrei tipo TSO un percorso artistico al termine del quale richiedere una conferma o meno.
[1/2, 4:08 PM] Francesco: Credo che eutanasia e suicidio potrebbero essere entrambe un diritto di ogni uomo anche se a monte di tutto, questo andrebbe in contrapposizione con il dogma religioso cristiano che accompagna quello dei diritti costituzionali anch’essi di matrice cristiana. Quindi a mio parere il diritto al suicidio assistito cioè l’eutanasia potrebbe essere accettato in quanto derivante da una condizione permanente di non vita anche se dall’altro lato potrebbe essere letto come una sorta di omicidio se questa decisione venisse presa da terzi e non dal soggetto malato che com’è lecito può decidere di terminare la propria esistenza ormai subita. Mentre per quanto riguarda il suicidio è una scelta dettata da motivazioni di condizione o esistenziali così sottili e da debolezze psicologiche così flebili a cui credo ci sia sempre un rimedio soprattutto attraverso percorsi artistici, rispetto a quella dell’eutanasia dettata invece da una condizione irreversibile che ti rende vegetale e ti priva di esserci per te stesso e per gli altri.
[1/2, 4:35 PM] Mario: Tutto sta nel dare un senso e spiegare che cos’è la vita. Se è un dono superiore, che l’uomo nei secoli ha dimostrato di non poter capire, allora non sta a noi decidere quando e come porvi fine perché non ci appartiene, ogni uomo dovrebbe continuare la sua ricerca senza fine finché gli è possibile e in ogni condizione. Se la vita è il cuore dell’uomo che batte allora è legata alla materialità dei nostri corpi dei quali abbiamo la possibilità e libertà di fare quel che vogliamo. L’esistenza di una norma che regolarizzi e regolamenti questa libertà mi spaventa molto, forse perché sono legato più alla  prima visione e l’idea che un uomo possa decidere della vita, anche se è la propria, mi dà la sensazione di dare un potere a chi non può gestirlo.
[1/2, 5:35 PM] Laura: Non riconoscere l’eutanasia come un diritto di ognuno mi sembra un sacrilegio. È negare, con una certa presunzione, la libertà di scelta individuale in una condizione in cui la vita è priva di esistenza e ciò magari non corrisponde nemmeno al tuo modo di esistere. Magari tu ti rifiuti di esistere in quella condizione… e chi è l’essere umano per giudicare e negarti il diritto di morire con dignità in una “vita” che di quella dignità ti ha privato? Certo, è una scelta che coinvolge anche un’altra persona inevitabilmente.. ma trovo che, con la giusta preparazione psicologica, si possa arrivare piano piano a viverlo come un gesto altruista. Il suicidio è anch’esso una scelta, ma è avvertita come una scelta costretta… e quindi manipolata da uno stato d’essere. Dal discorso che ho fatto per l’eutanasia si ricaverebbe il principio per cui ognuno ha diritto di vivere e di conseguenza morire come preferisce. Annunciare questo principio sembrerebbe quasi poi autorizzare il diritto a suicidarsi.. perché ognuno ha diritto sulla propria vita e sulla propria morte. Ma in realtà io parlerei di diritto alla dignità nella morte, che è diverso. Nella condizione che vive chi vuole suicidarsi, le altre 39291 scelte che potrebbe prendere non le vede, ma non significa che non ci siano… e quindi, di fatto, quasi il suicidio è al pari di un omicidio in questo caso. 

Perché ho posto ai giovani di Fabbrica Wojtyla la domanda?
Una premessa è necessaria. Un essere umano agisce. Crea conseguenze per ogni singolo individuo e per sé stesso. La natura agisce. Crea conseguenze per ogni singolo individuo e per sé stessa. La collettività agisce crea conseguenze per ogni singolo individuo e per sé stessa. Così lo Stato ed ogni altra forma che possa determinare una azione. Ne deriva che un singolo individuo in ogni momento della sua esistenza vive nelle condizioni che sono derivate dalla sua azione o da quelle della natura o della collettività o dello Stato o di ogni qualsiasi altra forma. Quindi un essere umano si confronta sempre con la condizione nella quale viene a trovarsi, ciò indipendentemente da quale sia stata la causa, cioè a prescindere dall’accertamento della azione che di conseguenza ha determinato la condizione nella quale un singolo essere umano viene a trovarsi.
Bene, ciò detto, identifichiamo una condizione sfavorevole per un essere umano. In premessa consideriamo la condizione immutevole, cioè che per qualsiasi motivo, fisico, mentale, sociale non ha possibilità di cambiare. Tale condizione può essere sopportabile per uno e, diversamente, insopportabile per un altro, ciò dipende dalla sua volontà e capacità di sopportare o meno una specifica condizione. Quindi, di conseguenza, una specifica condizione corrispondente ad una insopportabilità può determinare scelte individuali diverse. Allora, prendiamo il caso di un essere umano che viva una condizione di disagio tale da determinare in sé stesso la volontà di farla finita. Ha egli il diritto di fare di questa volontà una scelta del tutto personale ed individuale? Se la riposta è no dovremo ridiscutere il principio del libero arbitrio e ridefinire l’essere umano come persona obbligata a subire conseguenze senza alcuna possibilità di reazione. In tal caso non è padrone della sua vita la quale appartiene ad “altro”, “altro” che ne determina in assolutezza il corso. Se la risposta è sì dovremo accettare indiscutibilmente la volontà del singolo individuo a non accettare una condizione esistenziale per lui non sopportabile e quindi a porre fine alla stessa dandosi la morte.
Allora, dove voglio arrivare?
L’Italia vive una polemica assurda che giunge alla Corte europea: il caso del detenuto Cospito, condannato al 41 bis, una legge dello Stato che, fino a che lo Stato non intenderà mutarne l’assunto, non può cambiare. Così il detenuto Cospito vive in una condizione immutabile per lui non sopportabile. Cosa fa? Indipendentemente dalla motivazione, inizia lo sciopero della fame, cioè manifesta la sua volontà di rinuncia a quella condizione non sopportabile in cui si svolge la sua esistenza ben conscio della possibile morte consequenziale. Come l’eutanasia, come il suicidio. E’ questo un suo diritto? Sembra di sì, e lo mette in atto. Dunque non è comprensibile l’azione da più parti richiesta (abolizione del 41 bis) di intervento di mutazione di quella sua condizione che determina la sua volontà. Se fosse possibile ottenere la mutazione di una propria condizione solo minacciando se stessi, allora in tutti i casi di eutanasia e ancor più di suicidio diventerebbe obbligatorio intervenire istituzionalmente per mutare qualsiasi condizione a causa della quale quel singolo individuo, nella impossibilità di vederla mutare, manifesti la volontà di eliminarne liberamente l’effetto che produce su di esso, 41 bis, malattia e vuoto esistenziale che sia. Conclusione: sciopero della fame, eutanasia e suicidio sono scelte determinate dall’intento di mutare una condizione che, autonomamente e relativamente ad ognuno che le intende fare, viene considerata non sopportabile esistenzialmente per cui un individuo sceglie la morte come cancellazione del proprio status e ciò ancor più quando tale status è stato determinato dalla propria volontà (condanna a 41 bis). Condivisibile o meno è una scelta individuale che dà il senso della misura e di una volontà unica che merita rispetto. Quindi, invece di farne un casus belli, il detenuto Cospito lasciamolo nella sua scelta provvedendo ad assisterlo nel compimento della sua propria volontà e non impedendolo. Basterebbe pensare ai soldati russi ed ucraini. Loro non scelgono di morire, vengono mandati a morire e per un credo quanto mai discutibile. Perché se equipariamo ogni ragazzo che va al fronte al caso Cospito ci accorgiamo che, a differenza del detenuto, lui, il soldato, va incontro alla morte senza avere alcuna volontà di morire. Allora o cambiamo radicalmente tutti i parametri di qualsiasi azione collettiva o salvaguardiamo almeno la volontà dell’individualità. La sola e vera giustizia sarà la garanzia reale di condizioni uguali per tutti. 

PATRIZIO RANIERI CIU © FABBRICAWOJTYLA 2023

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