ILLIBERTÀ
L’universo una volta era immenso. Oggi è nel pugno di una mano. Ridotto ad uno schermo piatto privo di profondità. L’immagine di ogni cosa esistente è ormai lato per lato. Luoghi, oggetti, persone esistono solo nella realtà di schermi, piccoli o grandi che siano. Questo è un dato di fatto. Scompare l’interno, quindi scompare l’emozione. Tutto si riduce ad una visione. È l’immagine che dà esistenza, senza l’immagine io… non esisto. Non esiste pensiero, riflessione, azione. Tutto è riflesso, tutto è solo ciò che si manifesta, tutto è niente. Ed il mondo, il mondo che andava cercato, scoperto, trovato, quel mondo che andava vissuto e, dopo morti, dava diritto di continuità tra inferno o paradiso, ora è tutto lì, nel palmo di mano. Attraversato a pezzi, tra una pubblicità e l’altra. Singoli drammi umani, guerre, mattanze di animali, flussi migratori, disastri ecologici, povertà, disinformazione, poteri forti e cadaveri. Persino il male, una volta definito ed assoluto, ora è esteso, impercepito. Tutto è liquido, diluito. E tutto sempre più nitido. Sempre più in 4K.
Forse non è così “tragico” ma è la strada che è stata intrapresa e dalla quale difficilmente si tornerà indietro perché le nostre coscienze nel frattempo si sono avvizzite, la nostra anima si è ristretta, il nostro io chiuso in se stesso. L’egoismo è la sola condizione che misura la vita.
Questa realtà intragenerazionale è arsa, priva di volontà, esiste solo nell’apparenza.
Si è, solo se si è visti. Diversamente siamo occhi che cercano e riconoscono come esistente solo ciò che loro appare. Non per strada, non di fronte a se stessi ma dentro uno schermo, lato per lato.
Abbiamo perduto il senso della vita, la stessa pandemia ne è simbolo. Ha cancellato l’olfatto, il gusto e, allontanandoci l’un l’altro, il tatto e l’udito lasciandoci solo la vista, la vista a distanza, la vista piatta di uno schermo che non restituisce altro che superficie, patina. La sola immagine appunto dell’esistente. Così l’esistente, ridotto a lato per lato, scompare.
Questa nostra realtà intragenerazionale, la più egoista di sempre, è un buco nero che inghiotte sentimenti e sensazioni, emozioni e creatività, spogliandosi di finalità umane sensibili, di sublimazione, di confronto costruttivo, di vita. Nulla più è arte. Nulla più commuove, esalta, raccapriccia, entusiasma. La reazione è sempre la stessa, come se l’esigenza fosse l’immutabilità. Ognuno concentrato sul suo stato, misto di invidia e di gelosia ma anche di tutela della propria condizione, qualunque essa sia. Eppure la pandemia prometteva la lezione della necessità della mutazione, persino genetica, del cambiamento obbligato mentre l’esigenza di recuperare lo status iniziale, prepandemico, è la sola aspettativa che il mondo intero si è posto. La banalità come normalizzazione.
Ed ecco lo schermo che si ripropone, immutabile. Volti, modi, status e parole identiche, come se nulla fosse stato. Una specie di autoconsumazione intragenerazionale dove il futuro è già presente, inglobato nel passato che diviene immediato e senza più alcuna distinzione temporale, fisica, etica e morale.
Non c’è origine né finalità. Come le buche che si riempiono per essere svuotate.
Colpa della tecnologia? Colpa della religione? Colpa delle istituzioni?
È colpa nostra, solo colpa nostra. Dei nostri gesti mancati. Del nostro coraggio perduto, della nostra sensibilità frantumata, del nostro pensiero distorto. Siamo vittime consapevoli del nostro egoismo carnefice. E siamo quel che siamo, larve umane non più capaci di trasformazione. Relitti vivi destinati oramai all’estinzione.
Vecchio e giovane, buono e cattivo, bello e brutto, appunto inferno e paradiso, ogni comparazione non ha motivo di porsi. Non c’è più chi è in grado di fare distinzioni. Non esiste l’autentico come non esiste l’identità ma una sorta di accettazione di una unica visione: l’illibertà.
PATRIZIO RANIERI CIU © FABBRICAWOJTYLA 2021
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